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Casa Batlló

  • Ivana
  • 13 apr 2017
  • Tempo di lettura: 4 min

Tale opera rappresentò per Gaudì una sfida. Finora si era infatti cimentato con strutture parzialmente cominciate che lui aveva portato a compimento, questa invece fu una ristrutturazione. Ecco quindi la sfida di tirar fuori da un edificio già costruito, già con una propria identità, una nuova personalità che seguiva i dettami della poetica propria.

Si notano dalla pianta i frutti di questa ri-personalizzazione della struttura: oltre ai muri di spina e quelli a sostegno del vano scala, non vi sono più muri ad angolo retto e anche l’attacco delle murature col soffitto è addolcito e smussato. L’impressione che si ha guardando l’edificio, tanto all’esterno quanto all’interno, dipende molto dallo stato d’animo con il quale la si osserva: potrebbe sembrare una casa fiabesca in pan da zucchero per via della presenza di pilastri che ricordano filamenti di miele; oppure una casa del mare: sulla facciata principale realizzata in trencadicas sono stati collocati, sulla ceramica dai colori marini, dei dischi in vetro che ricordano vagamente delle bolle e che creano dei giochi di riflessi di luce; vi è infine chi vi legge delle forme antropomorfe. Quest’ultima visione sembra essere la più accreditata. Esternamente essa è suggerita sia dai pilastri del piano nobile vere e proprie ossa di pietra, sia da quelli posti all’entrata principale che ricordano le zampe di un elefante. A causa di questi ultimi Gaudì dovette affrontare non poche discussioni con l’amministrazione, in quanto per la loro forma, sporgevano di bel 60 cm sul marciapiede.


Altre forme antropomorfe le si ritrova sui balconcini che sembrano avere per parapetto crani di drago la cui pelle a squame è ripresa dal trencadicas in ceramica della facciata. Il piano nobile è realizzato con blocchi in pietra di Monjuich levigata sul posto e composta da pezzi che si assemblano ad incastro. Tale piano si apre totalmente bowindow, sulla piazza antistante l’edificio, grazie anche ad elementi oscuratori che si aprono e si chiudono a ghigliottina lasciando libera l’intera parte centrale. Da notare in basso al parapetto in legno incastrato nella pietra delle incisioni, vere e proprie bocchette per l’aria utili per la termoregolazione degli ambienti interni. Sempre sulla facciata principale, a sinistra, vi è un campanile sovrastato da una croce, sotto al quale sono riportate le iniziali del Cristo. In copertura era presente una cisterna d’acqua, oggi convertita a lavanderia, arieggiata secondo la tecnica del brie soleil con aperture che permettono che i panni siano protetti e si asciughino anche in giorni di pioggia. Anche qui è presente un balconcino con carrucola per l’elevazione di diversi pesi. Ad avvalorare la tesi dell’enorme drago che è l’edificio ci pensa il terrazzo vera e propria dorsale squamata che si disloca tra le numerose canne d’aereazione.


Oggi la struttura, anche se parzialmente abitata dagli eredi della famiglia Guell, può essere visitata; nonostante però siano visitabili solo zone completamente spoglie a livello di mobilio, per come è concepito lo spazio, e per come sono decorati i rivestimenti interni, tale assenza non si nota. L’ingresso dell’edificio è unico e si apre su un’insolita scalinata interna che conduce ai piani superiori. Tale scalinata infatti per come è stata concepita dà l’impressione di essere entrati nell’animale: essa costituisce la “colonna vertebrale” dell’edificio, per cui ogni scalino, ha come profilo esterno un elemento terminale in massello a forma di vertebra. Notevoli nella resa dell’effetto vanno menzionate le pareti che sono dipinte come se fossero una pelle squamata: con un pennellino, su un fondo di colore, è stato abilmente dipinto l’effetto trencadicas.

Un grande cavedio centrale, garantisce la luce anche agli ambienti interni e per far si che si abbia la percezione di ricevere la stessa quantità di luce per tutti i piani, la decorazione delle pareti, in ceramica bianca e blu, è gestita in modo tale che, salendo, il colore vada ad intensificarsi: da celeste ad azzurro a blu che illuminati dal sole arrivano a definire un colore uniforme.

Il grande cavedio però, non illumina la scala principale, che sembra comunque illuminata naturalmente per via di finti lucernai, finti perché illuminati da luce artificiale. Per dosare l’aria all’interno delle abitazioni, Gaudì ricorre a delle aperture collegate direttamente con il cavedio. Nell’ingresso del piano nobile attira l’attenzione un camino in muratura, dal profilo a fungo, nella cui struttura, sempre in muratura, sono state ricavate due sedute laterali. Il tutto è rivestito in ceramica sul fondo della parete “squamata”. Nel salone, invece, il protagonista della scena è un lampadario in ferro che simula un movimento rotatorio che sembra coinvolgere l’intero soffitto. Anche in questo caso le colonne annullano la struttura muraria in corrispondenza del bowindow. Anche in questa struttura viene ripreso l’arco parabolico, in una successione che consente all’ambiente di ricevere aria e luce, mediante opportune aperture che non lasciano passare l’acqua. Laddove vi era la cisterna oggi vi è una suggestiva fontana composta da un cilindro, nel quale è inserita una semisfera in metallo dalla quale fuoriesce l’acqua creando particolari riflessi sulle pareti del metallo. Ricordiamo infine che di questa abitazione Gaudì disegnò l’intero mobilio, oggi custodito nel museo Gaudì.


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